(Liberamente ispirato da una storia vera.)
“Questa notte
splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo
d’oro delle stelle.
Si chiamerà
Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo” Giorgio Muggiani, 09 marzo
1908.
Nel 1948, d’estate, nasce Angelo in un piccolo
paese,
mentre l’Inter è guidata da un allenatore gallese.
Il parto del bimbo non è stato, nella collettiva
immaginazione,
podalico né cefalico perché il primo a veder luce è
stato il pallone:
se all’epoca fossero stati completati gli studi
sugli ultrasuoni,
l’eco avrebbe mostrato un bimbo, una palla e
neroazzurri striscioni!
Angelo ha per il calcio tanto amore
che, per hobby, è diventato allenatore:
insegna il calcio ai ragazzi della romana
periferia,
cosicché non prendano, sulla strada, una brutta
via.
Nel 1980 è da pochi anni sposato
e decide di allenare anche il giovane cognato:
questo, di nome Lallo, è bravissimo a giocare
e con Angelo condivide anche la gioia di tifare,
guardano
insieme le partite dell’Inter con striscioni e cartelli,
facendo allo stadio la ola al campione del Mondo
Altobelli.
Angelo avrebbe desiderato forse dei figli
maschietti
che sarebbero diventati calciatori, o arbitri coi
fischietti,
ha invece due graziose femminucce
con esili corpicini e strette spallucce.
Le bimbe si divertono a guardare le partite dal
papà organizzate,
soprattutto quelle tra scapoli e ammogliati in cui
si crepa dalle risate:
gli scapoli, giovani e aitanti, corrono come
fulmini, veloci e scattanti,
gli ammogliati invece, goffi e appesantiti, fanno
capitomboli esilaranti.
Zio Lallo e papà Angelo insegnano alle bimbe a far
per l’Inter un tifo scatenato
e se qualche partita è persa la colpa è,
certamente, del pessimo arbitrato.
Lella, delle due bimbe la più piccolina,
ha indelebile nella memoria una domenica mattina
in cui zio Lallo le mette una bella maglia dell’Internazionale
e la porta per la prima volta nell’enorme stadio
della Capitale.
Lella ha nove anni, il cuore batte forte, è
emozionata,
la vibrante e festosa confusione dei boys l’ha subito
gasata.
Intorno a lei bandierine colorate, striscioni,
sciarpe bicolore
e urla disumane già all’apparir del primo
giocatore.
Al primo urlo corale Lella sussulta spaventata,
ma lo zio la tranquillizza, vedendola agitata:
“Le urla dei tifosi danno ai calciatori tanto coraggio,
ecco perché tifiamo e facciamo la ola se siamo in
vantaggio”.
Lella allora decide di imitare i vicini,
con urla e stonati cori canterini:
mentre Lella si diverte agitando in aria la bandierina
ecco al tredicesimo minuto il goal di Farina!
Seppur in pochi, perché fuori casa,
la ola arriva subito sinuosa:
Lella è felice di partecipare alla festosa
coreografia
che dà anche ai tifosi una carica di dirompente
energia.
Due minuti dopo, però, la festa è rovinata e gli
interisti urlano a più non posso:
Lella è contagiata dalla loro tristezza, c’è stato
il pareggio di un player giallorosso.
La tensione sale alle stelle, la bimba è
dispiaciuta per lo zio e i suoi amici,
il cuore batte forte, il cielo si annuvola, la
partita prosegue sotto cattivi auspici.
Va infatti di male in peggio, subendo l’Inter anche
le reti di Giannini e Desideri:
i tifosi giallorossi, una ola dopo l’altra, sembrano
crepitanti bracieri.
La partita per gli interisti sembra persa con
disonore
ma all’ottantanovesimo l’arbitro chiama un rigore!
Altobelli ha gli occhi di tutto lo stadio su di lui
puntati,
silenzio assoluto, anche i giallorossi si sono
bloccati!
Quel secondo in cui l’attaccante calcia il pallone
risuona nello stadio come lo sparo del cannone:
GOOOOOOOOOOOOOL ! I tifosi nella gioia uniti,
non hanno vinto ma hanno combattuto agguerriti.
3-2 per la Roma è il risultato finale: i
neroazzurri non festeggiano con il vino,
“ogni maledetta domenica o si vince o si perde”
dirà, 10 anni dopo, Al Pacino.
Angelo e Lallo continuano a tifare e vanno anche
alle partite della Lazio
perché con la sua tifoseria hanno stretto un eterno
sodalizio.
Un giorno, però, Angelo si ritrova a tifare da
solo
perché il cognato per la Francia prende il volo:
emigra dall’Italia per lavoro e per amore,
ma senza scordare le sue sciarpe bicolore.
Zio Lallo dalla Francia chiama sempre il cognato
per criticare o lodare il calcio mercato:
“Hanno fatto andar via Panucci e Baggio,
come facciamo ora ad andare in vantaggio?”
In Francia Lallo diventa papà di tre bei monelli:
per primo nasce Paul, poi Lèo e Jack, che sono
gemelli.
I ragazzi crescono amando il calcio come il
capofamiglia:
Paul tifa per l’Inter, Lèo per la Lazio e Jack per
il Marsiglia,
quando guardano in TV una partita importante
chi “gufa” contro gli altri e chi, invece, gioisce
esultante.
Zio Lallo senz’altro non si annoia,
vederli fare il tifo è sempre una gioia!
Paul, diventato maggiorenne, decide di compiere un viaggio:
vola a Roma per vedere la partita Lazio-Inter del 2
maggio.
Lella, la cugina 32enne, come fece lo zio quando
era piccolina,
compra per Paul una maglia nero-azzurra, una sciarpa
e la bandierina.
Felicissima di portare per la prima volta
all’Olimpico il cuginetto
anche Lella è agitata, essendo l’Inter vicina a
vincere lo scudetto.
La trepidazione di entrambi raddoppia perché tutto
lo Stadio è in gran festa,
grazie alla fratellanza delle due tifoserie, che
con uno striscione si manifesta:
“DA SEMPRE
FIERI DEL NOSTRO GEMELLAGGIO
ALLA NORD DI
MILANO RENDIAMO OMAGGIO”
Le tifoserie della Lazio abbandonano ogni brama di
gloria
per aiutare i neroazzurri amici a gridare: “VITTORIA!”
I calciatori non deludono la tifoseria
supplichevole,
tanto che la partita si configura come
un’amichevole.
I tifosi di entrambe le fazioni sono soddisfatti
del risultato finale,
il punteggio della partita è di 0-2 per
l’Internazionale.
Paul e Lella sono orgogliosi di questa emozionante
partita
che insegna come l’amicizia sia il valore più
importante della vita.
Lella ha il cuore che batte forte come quando era
piccina,
quando allo Stadio esultava dando al dolce zio la
manina:
la storia si è ripetuta con l’adorato cugino
e questo le fa sentire zio Lallo più vicino.
Il calcio ha unito 4 generazioni di una famiglia:
questa è la magia del tifo e la sua meraviglia.
Un brutto giorno, però, accade un tragico incidente:
Angelo muore, cadendo da una scala,
accidentalmente,
una stupida caduta, mentre avvita una lampadina:
la scala vacilla, diventando la sua spietata
assassina.
Zio Lallo, Lella e tutti i familiari non indossano
più il bicolore,
ma il nero offusca l’azzurro, diventando un unico
luttuoso colore.
Per Lella il calcio perde importanza,
per il tifo non prova più esultanza.
Passano 8 anni dal triste evento: Lella intanto ha
sposato
un uomo che non ama il calcio ma del nuoto è
appassionato.
Hanno un bambino che cresce senza vedere mai una
partita:
la qual cosa in Italia è rara e da molti
considerata inaudita.
Il bimbo è molto simpatico e vivace, si chiama
Simone
e a volte, spontaneamente, si mette a giocare con
il pallone:
la mamma gli spiega che c’è una rete in cui bisogna
tirare
ma non gli dice mai che ci sono diverse squadre per
cui tifare.
Oggi Simone ha 4 anni, è il giorno della Befana,
riceve tante calze, da nonne e zie, anche da zia
Luana:
quando Simone scarta quest’ultima calzetta
al suo interno trova una bella maglietta,
è azzurra con la scritta nera e il disegno di un
pallone,
nel vederla si illumina di immensa gioia il viso di
Simone!
Si rivolge alla mamma dicendo: “La maglia dell’Inter! La mia squadra preferita!”
Lella, con un tuffo al cuore e le lacrime agli
occhi, guarda il figlio stupita.
Il tifo calcistico è una popolare fede sacra, più
potente della religione:
le tesi di Feuerbach e di Marx vi si applicano,
infatti, con maggior convinzione,
gli esseri umani hanno bisogno di credere in
qualcosa che li renda uniti,
qualcosa che non li deluda, come accade invece con
la politica e i suoi partiti.
Riconoscendo il bimbo nella maglia della Befana
la squadra dell’Inter accade una cosa sovrumana:
la fede per il calcio da nessuno insegnata
è un eterno amore, una passione innata,
una miracolosa reincarnazione
che non potrà mai subire un’ammonizione.
“Essere neroazzurri è un traguardo, un segno
di eccellenza.
Vi chiedo di
urlare forza Inter con passione, ma senza rabbia”
Giacinto
Facchetti, Inter 1908-2008: un secolo di passione neroazzurra.
Zia Lella, zia Lella, sei veramente eccezionali ad essere riuscita a raccontare la storia di 4 generazioni usando la forza del tifo e poche righe.
RispondiEliminaSei riuscita a essere scorrevole pur trattando una tragedia, anzi, prendilo come un complimento sincero,ma sei persino riuscita ad allontanare il dolore più profondo sapendo che saranno primariamente i bimbi a leggere questa stupenda storiella rinata.
Con altre idee come questa potresti comporre un libretto di fiabe stupende che poi fiabe proprio non sono.
Complimenti sinceri e vivissimi, mia cara. Meriti più di un libro.
Ti prego di continuare.
Un abbraccio a te e a tutta la tua splendida famiglia
Grazieeeee 💕
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